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martedì 11 luglio 2023

La novella «La signora Speranza» di Pirandello del 1903 - che si può ricordare anche in tutti gli anni che finiscono con il tre

La Sicilia in «La signora Speranza» di Luigi Pirandello dalla raccolta «Appendice e Novelle estravaganti» 

 

 

 

delle «Novelle per un anno»:

 

 

 

«– Si rassicuri; dico così, – rispondeva lo Scossi, – perché so che la sua ottima signora è in Sicilia, signor Martino.

 E il bravo Martinelli si quietava, sospirava, tentennava amaramente il capo. Ah, ci pensava sempre, lui, a quella sua povera moglie balestrata in una scuola normale di Sicilia, e sempre ne parlava in quella sua special maniera, quasi andando tentoni nel discorso e quasi appoggiandosi, sorreggendosi a ogni impuntatura a un sì, dico: intercalare, che tutti gli rifacevano, senza che egli se ne accorgesse. Non si poteva dar pace, poveretto, della crudeltà buro­cratica che a sessantaquattr’anni lo aveva diviso, così dj colpo, senza ragione, dalla moglie, distruggendogli casa, famiglia, costringendolo a dormir solo, in una camera d’affitto, e a mangiare a pensione lì, da Carolinona, che egli solo chiamava signora Carolina».

 

 

 

E le arciduchesse d'Austria:

 

 

 

«E fossero state almeno donne del suo ceto o signore della nobiltà: eran di sangue reale o imperiale (arciduchesse d’Austria, segnata­mente) le vittime di Cariolin».



E Berlino, Vienna, Bruxelles, Copenhagen, il re di Svezia e Norvegia: 

 

 

 

«I congressisti, naturalmente, erano stati ricevuti a Corte: a Berlino, a Vienna, a Cristiania, a Bruxelles, a Copenaghen ecc., qualcuna di queste Corti, naturalmente, aveva dato sontuose feste in loro onore, donde – naturalmente – la cordialissima amicizia di Cariolin coi sovrani d’Europa, l’amicizia quasi fraterna con quel dotto e simpaticone re Oscar di Svezia e Norvegia, il quale, un giorno…»

 

 

E l'Otello ed il Re Lear di William Shakespeare:




«– La mia musa è la bile! Anche Shakespeare con la bile creò Otello, creò Re Lear!»

 

 

E Barcellona, Lione e Colonia: «fra un mese doveva ri­partire per Barcellona, e poi da Barcellona per Lione e da Lione per Colonia…».

 

 

 

Ed un personaggio che viene chiamato ebreo: 

 

 

 

«Meno male che, per distrarsi – quando gli af­fari però (questo sì, prima di tutto!) erano ben sistemati e contentati i direttori delle fabbriche di seta che lo mandavano in giro così, come l’Ebreo errante – trovava sempre modo di combinarne qualcuna».

 

 

 

«Le cose lunghe, si sa, diventano serpi»

 

 

 

Lo dice Bagio Speranza a Carolina «Carolinona» Pentoni - o «Pentolona Carolini».

 

 

 

E, poi, Biagio Speranza a Martino Martinelli:

 

 

 

«Non sono proprio un marito ingannato? Lei se ne stava lì, all’ombra, come un vil sedut­tore, non può negarlo».

 

 

 

Ed una descrizione della campagna:

 

 

 

«Come doveva esser lieto, quel birbaccione, in mezzo alla campagna, che già si rivestiva di tenero verde. L’aria era ancora frizzante, ma di che lieve freschezza ristorava lo spirito e come riposavano gli occhi su quelle prime ri­denti verzure!

Quando la carrozza, finalmente, si fermò dinanzi a un rustico cancello a una sola banda, sorretto da due pilastri non meno rustici, dietro ai quali sorgevano due alti cipressi, Dario Scossi era com’ebro di primavera

Un erto vialetto saliva dal cancello, tra la vigna, su al poggiuolo, in vetta al quale stava tra gli alberi la Casina. Che poesia! che sogno! che quiete! Il fre­sco d’ombra di quella poggiata a bacio era saturo di fragranze selvatiche: amare di prugnole, dense e acute di mentastri e di salvie. Prima di sonar la campana, lo Scossi guardò un pezzo lassù; udì a un tratto acutissimi strilli di papere».

 

 

 

La campagna, dunque, i cipressi e Dario Scossi.

 

  

 

E Biagio Speranza ed il «destino, il quale, come sa­pete, è di sua natura buffone».

 

 

 

Ed una descrizione: «Solo il Martinelli teneva fissi su lo Speranza gli occhietti tondi da barbagianni, come se da un mo­mento all’altro si aspettasse da lui una spiegazione di quell’indegno modo d’agire, un segno di pentimento».

 

 

 

Ed il «Caffè dello Svizzero».

 

 

 

Ed una descrizione del cielo:  

 

 

 

«Nannetta lo seguì, ma invece di guardar giù nella strada si mise a guardare in alto le stelle che sfavillavano fitte nel cielo senza luna».

 

 

 

E Biagio ed il vino: «Ho un po’ di Marsala: beviamo! Devo aver pure biscotti, aspetta…». 




E l'ombra: «Era invece il signor Martino Martinelli, che pareva ridotto l’ombra di se stesso, cui ciascuno con un soffio avrebbe potuto far volare di qua e di là, come una piuma».

 

 

 

E colui che è definito il prototipo dei mariti fedeli da Biagio: «Ti presento il prototipo dei mariti fedeli, il signor Martino Martinelli, primo naso assoluto. Dica, signor Marti­nelli, alla mia signora moglie, che mi ha trovato sano, innanzi a un buon bic­chiere di vino e accanto a una leggiadra donnetta. Non starnuti! Vuol bere?»

 

 

 

Altra descrizione: «ma il si­gnor Martino si sentì sollevato, dopo quello sfogo, in una sfera eroica, e se ne andò col naso al vento, come una tromba guerriera».

 

 

 

Una tromba dunque. 

 

 

 

E, poi, Anacreonte: Giannantonio Cocco Bertolli «recitò un’odicina d’Anacreonte da lui tradotta».

 

 

 

Ed avete mai scritto descrizioni di una camicia: «Nel vedergli la camicia sbrendolata e sudicia, sforacchiata ai gomiti, prova­rono tutti una penosissima impressione: avvilimento, ribrezzo e pietà insieme».

 

 

 

O scritto novelle con una sciabola?

 

 

 

«Ma il Cocco Bertolli, che aveva già la sciabola in pugno e fremeva, domandò, fieramente accigliato:

– Dunque?».

 

 

 

Ed una descrizione di qualcuno simile ad una tigre?

 

 

 

«Subito il Cocco Bertolli si slanciò, come un tigre, con terribile furia, muli­nando la sciabola e vociando, addosso all’avversario».

 

 

 

 Novella del 1903.

 

 

 

Ma torniamo alle descrizioni, questa quasi all'inizio: «Si chiamava Cedobonis, era dottore in medicina e professore di filosofia in un liceo e di pedagogia in una scuola normale femminile: calabrese, tozzo, nero, calvo, dal testone ovale, senza collo, come un mulotto, e dalla faccia cuojacea, in cui spiccavano le sopracciglia enormi e i baffi color d’ebano».

 

 

 

Ed il maestro di musica, Trunfo: «– Per esser peggio delle bestie! – gli rispondeva a schizzo il maestro di mu­sica Trunfo, che addirittura non lo poteva soffrire.

Diviso scandalosamente dalla moglie, sempre ingrugnato, cupo, raffagottato e, di tratto in tratto, esplosivo, Trunfo passava quasi tutto il giorno da Caroli­nona, lì, nel salotto da pranzo, intento, come un cane che si lecchi i calci rice­vuti, a correggere, a rifare i pezzi più fischiati d’una sua opera musicale, per cui si era mezzo rovinato. Fumava continuamente; – Vesuvio, lo chiamava Biagio Speranza.».

 

 

 

Questa novella pirandelliana, peraltro, 

 

 

 

mi fa pensare al romanzo «Il fu Mattia Pascal» pirandelliano per la sfida a duello.




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