5 marzo.
La scuola romana — quell’incontro di giornalisti, avventurieri, scrittori, pittori ecc. ha inventato un’arte riflessa, di tipo alessandrino, il gusto di rifare uno stile, una tecnica, un mondo, che «fanno data» e risaltano l’intelligenza e il non impegno. Longanesi e «Omnibus», Cecchi e Praz, Cardarelli e Bacchelli, Moravia e Morante. Esterni, Landolfi e Piovene. Fu in sostanza l’arte fascista; ciò che nacque di vivo e vero — di cinico — nel periodo fascista. Sfuggono gli estremi, Sicilia e Piemonte, che fascisti non furono e s’imbarbarirono e scoprirono oltremare — Vittorini e Pavese. Per questi, ci vuole altra formula.
In fondo l’intelligenza umanistica — le belle arti e lettere — non patí sotto il fascismo; potè sbizzarrirsi, accettare cinicamente il gioco. Dove il fascismo vigilò fu nel passaggio tra intellighentsia e popolo; tenne il popolo all’oscuro. Ora il problema è uscire dal privilegio — servile — che godemmo e non «andare verso il popolo» ma «essere popolo», vivere una cultura che abbia radici nel popolo e non nel cinismo dei liberti romani.
Balbo diceva che sei pagano. No, stoico.
Avrebbe anche Alberto Moravia «inventato un’arte riflessa, di tipo alessandrino, il gusto di rifare uno stile, una tecnica, un mondo, che «fanno data» e risaltano l’intelligenza e il non impegno»
secondo questo giudizio del cinque di marzo del 1948 del saggio «Il mestiere di vivere»
di Cesare Pavese,
avrebbero inventato l'arte fascista.
Alberto Moravia che era morto a Roma il ventisei di settembre del 1990 e nato là il ventotto di novembre del 1907 -
era stato in vacanza a Siculiana (Ag - provincia di Agrigento),
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