La prima frase prima del «Penso, dunque sono»,
in originale in latino,
in lingua latina,
«cogito, ergo sum»,
del «Discorso sul metodo»,
pubblicato nel 1637,
di Cartesio,
di Renato Cartesio:
Si ce discours semble trop long pour être lu en une fois, on le pourra distinguer en six parties.
Nell'edizione del 1824 di Victor Cousin.
Si ce diſcours ſemble trop long pour eſtre tout leu en vne fois, on le pourra diſtinguer en ſix parties.
Nell'edizione del 1902 di Charles Adam e Paul Tannery.
In traduzione in italiano,
in un'edizione del 1925 a cura di Guido Ruggiero:
Se questo Discorso sembra troppo lungo per esser letto tutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti.
Tranne una sola vocale,
un mancato corsivo,
una minuscola invece che una maiuscola,
un pronome complemento oggetto spostato,
viene tradotto quasi del tutto simile in traduzione in italiano,
in un'edizione del 1937,
con introduzione e commento di Adolfo Levi:
Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una volta, si potrà dividerlo in sei parti.
Chissà cosa il «Penso, dunque sono»
diventa nel saggio «Filosofia del suca»
di Francesco Bozzi,
che in questo libro si sarebbe anche occupato di Ludwig Wittgenstein,
dei dialoghi filosofici di Platone,
con protagonista Socrate.
CMSaggistica comincia dalle prime parole del Capitolo primo dell'«Apologia di Socrate»,
probabilmente scritta negli anni tra il 399 ed il 388 a.C. - avanti Cristo,
qui in traduzione dal greco di Francesco Acri,
traduzione effettuata nel diciannovesimo secolo,
nell'Ottocento:
Quello che è avvenuto a voi, Ateniesi, in udire i miei accusatori, non
so; ma io, per cagion loro, poco meno mi dimenticai di me stesso, cosí
parlarono persuasivamente: benché, se ho a dire, essi non han detto
nulla di vero.
In originale in greco antico,
in lingua greca antica,
spero ci sia,
forse,
tutto:
ΑΠΟΛΟΓΙΑ ΣΩΚΡΑΤΟΥΣ
Ὅτι μὲν ὑμεῖς, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, πεπόνθατε ὑπὸ τῶν ἐμῶν κατηγόρων, οὐκ
οἶδα· ἐγὼ δ᾽ οὖν καὶ αὐτὸς ὑπ᾽ αὐτῶν ὀλίγου ἐμαυτοῦ ἐπελαθόμην, οὕτω
πιθανῶς ἔλεγον.
Noiosissime le prime parole dei «Quaderni 1914 - 1916»,
pubblicati nel 1960,
di Ludwig Wittgenstein:
22. 8. 14.
La logica deve badare a sé stessa.
Se possono in generale esser stabilite delle regole sintattiche per le funzioni, allora l’intera teoria delle cose, delle proprietà ecc. è superflua. È inoltre addirittura troppo evidente che né i Grundgesetze, né i Principia mathematica trattano di questa teoria. Di nuovo: perché la logica deve badare a sé stessa. Un segno possibile deve anche poter indicare. Tutto ciò che è in generale possibile è anche legittimo (permesso). Ricordiamoci della spiegazione del perché “Socrate è Platone” è insensata. Ovvero perché noi non abbiamo adottato una determinazione arbitraria, ma NON perché il segno sia in sé e per sé qualcosa di illegittimo!
2. 9. 14.
In un certo senso, nella logica non dobbiamo poterci sbagliare. Ciò è già espresso in questo: la logica deve badare a sé stessa. Questa è una cognizione sommamente profonda e importante.
Frege dice: ogni proposizione costruita correttamente deve avere un senso, mentre io dico: ogni proposizione possibile è costruita correttamente e, se non ha un senso, ciò può dipendere solo dal fatto che non abbiamo attribuito alcun significato ad alcuni dei suoi componenti. Anche se crediamo di averlo fatto.
3. 9. 14.
Come è conciliabile con la filosofia il fatto che la logica debba badare a sé stessa? Quando per esempio chiediamo: il tale e tale fatto è della forma soggetto-predicato?, allora dobbiamo sapere che cosa intendiamo per “forma soggetto-predicato”. Dobbiamo sapere se una tale forma si dia in generale. Come possiamo saperlo? “Dal segno!”. Ma in che modo? Non abbiamo proprio per nulla segni di questa forma. Possiamo dire: abbiamo dei segni che si comportano come segni della forma soggetto-predicato, ma ciò dimostra che vi debbano essere effettivamente fatti di questa forma? Cioè: se questi sono completamente analizzati. E qui torna la questione: si dà qui un’analisi completa? E in caso di risposta negativa: qual è quindi il compito della filosofia?!!?
Quindi ci possiamo domandare: esiste la forma soggetto-predicato? Esiste la forma relazionale? Esiste in generale una qualunque delle forme delle quali Russell e io abbiamo parlato in continuazione? (Russell direbbe: “Sì! Perché è evidente.” Ma certo!)
Quindi: se tutto ciò che deve esser indicato deve esser indicato attraverso l’esistenza di PROPOSIZIONI del tipo soggetto-predicato ecc., allora il compito della filosofia è un altro rispetto a quello che avevo assunto originariamente. Mentre, se non è così, allora ciò che manca dovrebbe esser mostrato da una sorta di esperienza, e io ritengo che questo sia escluso.
La mancanza di chiarezza risiede evidentemente nella questione in che cosa consista effettivamente l’identità logica tra segno e designato! E questa questione è (di nuovo) uno snodo cruciale per il problema filosofico nella sua interezza.
Si dia una questione filosofica come: se “A è giusto” sia una proposizione del tipo soggetto-oggetto; oppure: se “A è più chiaro di B” sia una proposizione relazionale! Come si può dirimere in generale una tale questione?! Che tipo di evidenza potrebbe rassicurarmi del fatto che – per esempio – alla prima questione venga data risposta affermativa? (Si tratta di una questione estremamente importante.) Anche in questo caso, è ancora una volta un tale “esser evidente” estremamente dubbio a costituire l’unica evidenza?? Prendiamo una questione molto simile, che però è più semplice e più fondamentale; ossia questa: un punto nel nostro campo visivo è un oggetto semplice, una cosa? Finora ho considerato proprio tali questioni come quelle propriamente filosofiche – e lo sono anche certamente in un senso – ma ancora: che tipo di evidenza potrebbe dirimere una tale questione? Non c’è in questo caso un errore nella sua formulazione? Poiché sembra che assolutamente nulla mirisulti evidente relativamente a tale questione; sembra che potrei dire con sicurezza che tali questioni non possono mai in generale esser risolte.
4. 9. 14.
Se non è l’esistenza della proposizione di tipo soggetto-predicato a mostrare tutto quanto è necessario, allora lo potrebbe mostrare soltanto l’esistenza di un qualche fatto particolare dotato di tale forma. E la cognizione di un tale fatto non può essere essenziale per la logica.
Posto il caso, che noi avessimo un segno che fosse effettivamente della forma soggetto-predicato, sarebbe quest’ultimo in qualche modo più adeguato a esprimere proposizioni soggetto-predicato delle nostre proposizioni soggetto-predicato? Pare di no! Ciò dipende dalla relazione di designazione?
Se la logica si può concludere senza una risposta a determinate questioni, allora essa deve esser conclusa senza di esse.
L’identità logica di segno e designato risiede nel fatto che nel segno non può esser riconosciuto niente di più e niente di meno che nel designato.
Se il segno e il designato non fossero identici rispetto al loro pieno contenuto logico, allora dovrebbe esserci qualche cosa di ancor più fondamentale rispetto alla logica.
5. 9. 14.
ϕa, ϕb, a R b = Def ϕ [a R b]
Ricordati che le parole “funzione”, “argomento”, “proposizione” ecc. non devono presentarsi nella logica.
Dire di due classi che sono identiche, dice qualcosa. Dire ciò di due cose, non dice nulla; già questo mostra l’inammissibilità della definizione di Russell.
6. 9. 14.
L’ultima proposizione non è altro che la vecchissima obiezione contro l’identità in matematica. Ossia quella per la quale se 2 × 2 fosse effettivamente uguale a 4, questa proposizione non direbbe nulla di più che a = a.
Grazie a WikiSource in italiano,
in francese,
in greco;
a Wikipedia in italiano.
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