Si supponga
tal essere la natura del liquido, che giacendo egualmente le sue parti,
ed essendo fra di loro continuate, quella parte che sarà meno premuta,
sia spinta, e cacciata da quella che è più premuta.
Sono le prime parole delle «Supposizioni»
del «Libro primo»
del «Trattato delle cose che stanno sul liquido»,
del III. secolo avanti Cristo,
di Archimede,
di Archimede di Siracusa,
nato nel 287 avanti Cristo e morto nel 212 avanti Cristo,
in una traduzione del 1822 dal greco antico.
Su Archimede «che medita sopra un problema, non solo non fugge all’avvicinarsi del
nemico, ma non lo sente neppure avvicinarsi»
scrive Federico De Roberto,
nato a Napoli il sedici di gennaio del 1861,
morto a Catania,
scrive Federico De Roberto,
nel capitolo finale «La volontà»
del saggio «Il colore del tempo»
del 1900:
La psicologia dimostra che un atto concepito è un atto cominciato,
che fra l’idea dell’atto e l’atto stesso non c’è differenza essenziale.
Dobbiamo concluderne che pensiero ed azione sono tutt’uno? In fisica
abbiamo un certo numero di forze: la luce, il calore, l’elettricità. Uno
studio attento ha portato ad affermare che esse non sono tanto diverse
quanto sembrano, che anzi l’una si può mutare nell’altra, e che insomma
la forza è unica e varie ne sono soltanto le manifestazioni. Ma che cosa
importa questa nozione? Perchè l’elettricità è o può essere calore,
diremo noi ad un assiderato di prendere in mano i fili di una corrente
elettrica per riscaldarsi? Perchè il calore è luce, consiglieremo a chi
non ha candele di mettersi a scrivere dinanzi alla bocca di un forno?
Nel mondo delle forze vi sarà unità fondamentale; ma le manifestazioni
dell’unica forza sono tanto diverse come se dipendessero da forze
realmente diverse. Così nel mondo della materia. Abbiamo in chimica una
quantità di sostanze che si possono considerare come risultanti dal
diverso aggruppamento molecolare di una sostanza unica, elementare,
primordiale; ma il fiele ed il miele, l’acqua e la pietra saranno perciò
la stessa cosa?
Altrettanto dicasi del mondo morale. Vedemmo già che la riflessione dalla quale dipende la scienza, e
l’ispirazione dalla quale nasce l’arte, sono in fondo tutt’uno: ma
vedemmo pure che arte e scienza, non che confondersi, si sono sempre più
distinte. L’energia vitale è una sola: non si può agire senza pensare,
non si può pensare senza agire; ma ciò non vieta che questi due modi
dell’attività umana si distinguano sino ad opporsi e ad escludersi. Chi
si butta a capo fitto in una pugna, e dà e riceve colpi mortali, non può
risolvere casi di coscienza. Archimede che medita sopra un problema, non solo non fugge all’avvicinarsi del
nemico, ma non lo sente neppure avvicinarsi. Ora l’abito di riflettere
continuamente, assiduamente, troppo, impedisce, od ostacola la capacità
di risolversi, di agire; viceversa l’azione incessante diffusa,
febbrile, non è compatibile con la meditazione.
La pugna è la battaglia;
l'abito è qui l'abitudine.
Empedocle. Su Empedocle di Akragas,
dell'antica Akragas,
su Leonardo da Vinci,
sapienti, poeti e geni,
scrive Federico De Roberto tre capitoli prima,
nel capitolo «Il genio e l'ingegno»
dello stesso libro,
scrivendo anche sugli animali,
definiti bruti:
Ora, prima di ogni altra cosa, un evoluzionista come il Nordau si vanta
di essere può sostenere senza contraddizione che il giudizio e la
volontà appartengano esclusivamente all’uomo, che siano apparsi in lui
di punto in bianco, che non si riscontrino in grado embrionale,
rudimentale, infinitamente piccolo anche nei bruti? Vuol egli mettere da
parte tutta una scienza, la psicologia comparata? Certo, la distanza
tra le facoltà mentali degli uomini e quelle dei bruti è enorme; ma
altrettanto enorme è la distanza dalle facoltà sensitive e sentimentali
nostre a quelle degli animali. Nessuno ancora ha visto un animale
piangere o ridere; e l’artista che eccita in noi questi
moti non li eccita automaticamente; anch’egli si serve del giudizio e
della volontà. Certo le capacità si diversificano, si sviluppano
variamente e si specificano in un senso o nell’altro; non abbiamo
bisogno di ripetere ciò che già dicemmo ragionando dei rapporti della
scienza e dell’arte; ma, perchè esse sono distinte, diremo che l’artista
non ha nessuna delle facoltà umane dello scienziato, e viceversa;
mentre sappiamo che sapienti e poeti furono un tempo, da Empedocle a Leonardo, e possono ancora essere, sebbene troppo raramente, un genio solo?
Diremo, col Nordau, che il genio artistico «non è altro che un
organetto» capace solo di ripetere meccanicamente certi pezzi di musica,
mentre il genio scientifico crea liberamente? Dice egli sul serio
quando afferma che il genio scientifico, filosofico, politico è
«affrancato» dalle commozioni, dai sentimenti? Dove sono queste
separazioni così profonde tra uomini ed uomini? Non sarà creazione, se
il Nordau non vuole, quella del poeta; ma allora chi al mondo ha creato
mai nulla? C’è qualcosa di nuovo sotto il sole? La creazione, se questa
parola si può adoperare, non è tanto degli ordinatori di popoli, quanto
degli speculatori di dottrine, quanto dei trovatori di immagini?
La classificazione dei genî non si deve pertanto fondare
sulla «dignità» dei loro diversi attributi, i quali sono tutti degni
egualmente; potrà solo dipendere dall’utilità delle loro opere. Un
legislatore sarà maggiormente venerato che un filosofo, perchè l’opera
sua maggiormente importa alla maggior parte degli uomini; uno scienziato
avrà più lodi che un artista, perchè le sue scoperte sono più feconde
di risultati positivi. Ma l’artista non lavora proprio ad altro che a
procurarci un momento di piacere? Non può anch’egli parlare al nostro
giudizio? E dato pure che non produca null’altro che sensazioni
piacevoli, queste sono del tutto sterili e senza importanza notevole? La
poesia non ha la sua utilità nella vita; non è, a giudizio di tanta
parte del genere umano, ciò che le dà sapore e prezzo?
è un romanzo del 2017 dello scrittore Stefano Amato,
pubblicato dalla casa editrice «LetteraVentidue»
di Milano.
Un altro suo libro è
«Avete il gabbiano Jonathan Listerine? (e altri incontri ravvicinati in una libreria di provincia)»,
con riferimento al romanzo breve «Il gabbiano Jonathan Livingston»,
pubblicato nel 1970,
di Richard Bach.
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Stefano Amato al Laboratorio culturale Ex farmacia Minacori della via Atenea,
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